LETTERA APERTA DEL RETTORE AL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA SUL FALLIMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E SCIENTIFICO ITALIANO

 

LETTERA APERTA

 

Gentile Direttore

Spesso leggo sul Corriere e su altre testate rilevi critici sulla fuga dall’Italia di decine di migliaia di giovani talenti scientifici che trovano spazio ,libertà e valorizzazione in Università o aziende straniere. Tuttavia questo è  solo uno dei  sintomi del fallimento del sistema universitario e scientifico italiano, un’  emergenza  che da anni segnalo ai vari presidenti del consiglio  ma  ve ne sono molti altri.  La cosa incredibile è che nessuno  fino a oggi ha voluto mettere mano con serietà a una riforma del sistema i cui mali risalgono alla scellerata legge Prodi-Bassanini Berlinguer del 1998, di fatto anticostituzionale, perché investe lo stato di poteri di controllo del sistema -anche di chiudere le università – istituendo  inoltre a livello regionale un conflitto d’interessi per la nascita di nuovi corsi per il parere chiesto dal MIUR alle università del territorio ,pubbliche e private  per il rilascio dell’autorizzazione  a dare un valore legale ai diplomi. Questo potere del MIUR è tuttavia autoreferenziale e illecito in quanto “il valore legale”  dei diplomi accademici è inesistente sul piano giuridico, ai sensi dell’art 172 del DR 1592 del 1933. E’ in realtà un vecchio stratagemma burocratico per affermare un potere burocratico statale  di  controllo  sull’innovazione  accademica ,chiudendo così  il sistema.  E’ evidente che le università consulenti del MIUR , oltre a leggersi curriculum innovativi e a plagiarli, non hanno interesse alla concorrenza.   Questo ha generato in passato  vere trame mafiose , di cui sono stato testimone , e insieme a me altri rettori , penalizzando l’innovazione didattica e scientifica e il paese e danneggiandolo  anche  in aree delicate come la metodologia della formazione dei medici, oggi in Italia ancora al palo.  Infatti ancora  oggi non c’è docente in medicina , nelle università statali  formato all’insegnamento e non esiste in Italia un dipartimento in “Medical Education” se si eccettua in  un’Università libera di Milano che ne ha fatto la storia per l’innovazione  non solo in Italia, avendo un dipartimento e  l’unico dottorato di ricerca sulla materia esistente nel paese. ( Università Ambrosiana).    L’evidenza giuridica che non è possibile attribuire un valore legale ai diplomi accademici  dato che questo non esiste  crea una vicenda  kafkiana, quando si valutano tentativi di creare una discussione su sia meglio o no abolirlo, come ha fatto Monti. Infatti non si può abolire ciò che non esiste.  Allo stesso modo siamo  di fronte al paradosso  che un ente non possa  definirsi “Università”,  se non abbia corsi  che diano  diplomi con un valore legale inesistente. Siamo al delirio di onnipotenza burocratica .  Questo fatto  è stato asseverato  più volte da autorevoli costituzionalisti come Sabino Cassese   e avversato solo come idea da Luigi Einaudi, che voleva un’università “vergine da bolli”, profetizzando il  diplomificio a scapito della sostanza culturale , come anche il documento 218 del Senato del Marzo del 2011 ha asseverato. In poche parole siamo al paradosso che abbiamo un Ministero dell’Università e della ricerca “fuori legge” (con qualche bandito denunciato alla Magistratura)  e che un Rettore di un’Università statale  che conferisca un Diploma di laurea “in nome della legge”, come in una sentenza di condanna o di assoluzione, commette  un reato penale di “abuso di potere”.  In effetti per uno studente che ha sopportato anni di  batterie di esami di anche stupidi curriculum, istituiti per giustificare ruoli accademici pagati dal contribuente, ci vuole “un’assoluzione” dalla colpa di avere sopportato la  mediocrità  dei docenti italiani, salvo qualche eccezione. Il denominatore comune paralizzante l’Università italiana e l’innovazione accademica  è  il potere burocratico dello  stato  ,  aumentato a dismisura e costruito negli anni  da una vera cupola   targata MIUR- CUN-CRUI  che ha avuto negli anni la forza illecita di creare sempre più meccanismi burocratici ,naturalmente esigenti controllo , stipendi d’oro e privilegi a scapito dei giovani e della scienza. In qualche caso questo potere serviva per il controllo pre-ordinato dei concorsi, più prima del 2000. Vi sono stati docenti  che hanno inviato prima dei concorsi raccomandate prevedendo i vincitori. Oggi vige il sistema meritocratico della “Qualità di stato” istituita da uno dei tanti stolti ministri dell’Università che si sono avvicendati, che ad eccezione di due importanti ricercatori (il Profumo e la Carrozza) ma ininfluenti  e della  Moratti che ha creato le Università telematiche ,   hanno brillato per insipienza , fino al penultimo parto politico: la “Più meglio” che aveva persino falsificato i titoli accademici. Dopo la famigerata legge Prodi –Bassanini , nel 2000 è stata la volta della  “Zecchino”, salutata come un Nobel della giurisprudenza universitaria, perché finalmente rendeva libere le Università –rilascianti diplomi con valore legale inesistente-di fabbricare corsi ,  e ruoli accademici:  una sorta di IRI dell’università. Questa fulgida legge , che ha voluto adattare in malo modo il nostro sistema a quello anglosassone, istituiva lauree triennali e magistrali o “specialistiche a ciclo unico” (mancava il tandem), master di “primo” e “secondo” livello  e  consentendo alle Università statali d’istituire ad libitum corsi , il che significa ruoli accademici, pagati dai contribuenti,  veri vitalizi per la pensione ha  incentivato la fantasia accademica e la fame di ruoli- vitalizio.  Infatti in Italia un docente universitario anche se è ignorante, psicopatico o perverso è inamovibile.”. Una delle migliori pensate di questa legge è stato l’accesso ai Dottorati di ricerca dopo la laurea magistrale, cosi’ da determinare titoli presi a 30-32 anni (in media), in  confronto con la media degli altri paesi (ca a 25 -26 anni).  Ma questo poteva fare cassa per le Università, costringendo gli aspiranti ricercatori a iscriversi alla magistrale  e non obbligando lo stato a pagare i dottorandi.   Un vero successo per lo sviluppo del paese ! La fantasia accademica, dopo la “Zecchino” raggiunse livelli impensabili:   nacquero  dopo laurea triennale  i dottori in “Scienze e tecniche equine” ,  (Parma) celebrati da stalloni e purosangue “Distillazione della grappa” celebrati  dalle cantine e dalle osterie  venete e friulane-finalmente baristi  preparati ee molti  alti “dott” anche in mediazione culturale nelle trasmissioni  televisive. Finalmente   fisioterapisti   e gli infermieri  e laboratoristi  potevano chiamarsi “dottori” . Un anno più tardi  I Rettori,  che mai hanno promosso una riforma radicale del sistema  e spesso nullità scientifiche,  scesero in sciopero  perché lo stato non aveva più soldi per pagare i nuovi ruoli accademici  istituiti dai corsi triennali . Questo  fenomeno  è avvenuto solo in Italia .Dopo la  Zecchino e la parentesi Mussi ( creatore del famigerato ANVUR  cioè la  qualità di stato) contro ogni buon senso,  è stata la volta della riforma “Gelmini”.  Questa  luminare ,  ben addestrata da un funzionario del MIUR,  firmo’ un’altra legge  con evidenti elementi di anticostituzionalità e d’idiozia, come il numero di ore  fisso d’insegnamento per i docenti e i concorsi nazionali per le borse di studio , esami di abilitazione nazionale  e i concorsi per i posti di specialità medica, con un marchingegno burocratico per premiare economicamente le Università meritorie , e altre frignacce di tale genere La Gelmini realizzava  cosi la mussiana qualità di stato  e cristallizzava  il suo  potere  sull’Università  .  I risultati di questo sistema, chiuso tra mafiosità di vertice, scellleratezza  giuridica, illegalità , potere burocatico , privilegi parassitari,  interessi di partito sono evidenti  e hanno danneggiato il paese  rallentandone lo sviluppo.  Oltre al citato  all’esilio scientifico di migliaia di giovani, appare un numero di laureati  molto sotto la media OCSE e metà di Francia e Inghilterra, il penultimo posto per tasso di ricercatori in Europa, 35-40% di abbandoni virtuali (inattività) e reali dall’Università al secondo anno,  il 60 % in meno della spesa per studente rispetto agli USA e il 50% rispetto al Nord Europa,  enormi spese per il funzionamento   delle Università ,disoccupazione a un anno  dopo la laurea breve (34%) e la magistrale(30%)  e magistrale  a ciclo unico (51%) , penalizzazione delle Università del Nord, riduzione del 21% degli investimenti per il diritto allo studio, diminuzione dei ricercatori di ruolo (< 2258 unità dal 2000), senza contare i dati intangibili, come la mediocrità dei docenti universitari, non stimolati all’aggiornamento scientifico  didattico, in quanto il loro ruolo è un vitalizio per la pensione, salvo naturalmente le eccellenze. Il fatto è assolutamente grave soprattutto in Medicina, dove l’aggiornamento  del docente è legato alla salute della popolazione, attraverso la preparazione degli studenti. In Italia non c’è un docente formato a insegnare la clinica, se si eccettua un’Università libera a Milano, che senza una lira dallo stato ,ha cambiato il paradigma scientifico della medicina e della formazione del medico, di cui è leader indiscussa nel mondo, come anche la WHO ha riconosciuto e il cui Rettore è stato  autore di una legge quadro di riforma, pubblicata per impedirne plagi  di parte politica.

Il sistema universitario e scientifico attuale in Italia  è un’emergenza patologica  che penalizza grandemente il mondo del lavoro e produce disoccupazione e degrado culturale del paese, come ho avuto modo di segnalare al Presidente della Repubblica e sta nella centralizzazione e nell’esistenza di un controllo statale del sistema che lo chiude e nella confusione tra diritto allo studio e natura dell’Università. Dove i sistemi universitari  sono indipendenti dal potere , come negli USA, i risultati si vedono. Infatti nei primi 10 posti del rank internazionale  otto sono di Università americane. Il sistema università e ricerca per fiorire deve divenire aperto e le università come squadre sportive libere di arruolare i migliori giocatori, studenti e docenti,  incentivando così direttamente un merito personale , con il potere di arruolare ii docenti  e i ricercatori migliori e licenziare gli inetti. Dovrebbe essere  il mercato del lavoro e lo studente  il miglior arbitro della qualità di un Università, che avrebbe interesse a una certificazione di qualità dei corsi da enti privati, come avviene in Germania  e prescritto dall’ENQA., l’ autorità europea per la qualità delle Università.  Per questo è necessario che gli studenti acquisiscano un potere di valutazione del rapporto qualità /costo delle rette ,con un portafoglio autonomo dalla famiglia e  realizzando un vero diritto allo studio con una borsa per tutti  gli iscritti in regola con almeno il 70% degli crediti dell’anno precedente come ho proposto.  Sicuramente il tasso dei laureati aumenterebbe.  Questo  tuttavia comporta da parte dell’Università  la piena responsabilità autonoma, statutaria , organizzativa amministrativa, con l’attivazione virtuosa di una competizione tra gli atenei  sulla  qualità,  rendendo inutile un Ministero, che come un tumore,  invece  ha riprodotto metastaticamente  poteri centrali paralizzanti il sistema anche in modo illecito, come abbiamo detto, danneggiando il paese , l’innovazione e il mondo del lavoro.  Il merito di stato, istituito dalla legge Gelmini è un’idiozia ,incredibilmente figlia di un governo di centro-destra,  solo destinata a esasperare sistemi di controllo e il potere centrale.  Con un sistema centrato sulla persona dello studente e del docente invece   L’Università deve essere totalmente libera da ogni potere come anche Federico I° nella “Constitutio habita” aveva  promulgato nel 954 DC. e assumersi responsabilità statutarie, organizzative, amministrative  autonome totali. Questo eviterebbe scandali come è accaduto con l’Università di Siena , di passività pagate dai contribuenti   (250 milioni di euro) e i diciassette dipendenti  per un bollettino on line, come in un’ università  del Meridione. Questi fatti non esisterebbero se le Università dovessero fare i conti, per sopravvivere,  con le scelte degli studenti e delle famiglie, che verrebbero avvantaggiate dalla borsa mensile  (costo ca 10 miliardi), il costo del bonus Renzi.  Lo stato  ne risparmierebbe 13 all’anno.   Si eviterebbero  così  ruoli docenti vitalizi per la pensione, ma legati al merito come negli USA e nei paese del Nord Europa . L ’Università deve essere totalmente libera e un Ministero dell’Università e della ricerca , un CUN  non dovrebbero neppure esistere,  come negli USA- che annoverano nel rank mondiale 8 università tra le prime 10- perché i suoi funzionari , assecondati da Ministri di basso profilo,  da sempre ,  per potere giustificare il loro ruolo e gli stipendi  istituiscono  poteri di controllo , chiudendo il sistema, come si è verificato , danneggiando  lo sviluppo  e soprattutto i giovani.

 

Giuseppe R.Brera

Rettore dell’Università Ambrosiana

www.unambro.it

scrivi al prof. Giuseppe R.Brera

rettore@unambro.it

 

 

 

 

IL FALLIMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E SCIENTIFICO ITALIANO

 

Università Ambrosiana

STRALCIO DI EXPERTIZE SUL SISTEMA UNIVERSITARIO SCIENTIFICO ITALIANO  [2][3]

 

  Giuseppe R.Brera

                              Università Ambrosiana, Milano

 

Lo stralcio di alcuni e significativi dati dal rapporto ANVUR 2016 (istituzione parassitaria centrale che ha sostituito il valente Osservatorio Universitario istituita  da Mussi e realizzata da Gelmini), istituente l’idea fallimentare del controllo statale e centralizzato della qualità-mentre dovrebbe essere fatto dagli stessi enti universitari e da istituzioni private certificate dall’ENQA europeo,  conferma in modo drammatico il fallimento previsto della riforma universitaria del 2010. La filosofia statale  non autonomizzante le Università è sbagliata. I concorsi abilitanti alla ricerca e all’insegnamento istituiti e la premialità di stato sono semplicemente demenziali e paralizzano lo sviluppo del sistema impedendo che regioni e università migliori si differenzino secondo la loro qualità innovativa in rapporto alle rette e con un diritto allo studio esteso che dia un reale potere di scelta agli studenti.[1]

Questa situazione si è determinata perché CRUI e CUN  sono stati sempre conniventi a rinforzare un sistema parassitario in cui i ruoli accademici sono vitalizi per la pensione.

1.Calo immatricolati

 

2001 307.066
2015 275.066

  1. Basso numero di laureati

 

“Nel 2014 tra la popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni, la quota di laureati in Italia era pari al 15,0% a fronte di una media UE a 27 paesi del 26,1%. Rispetto ai principali paesi europei il ritardo era pari a 27 punti percentuali dal Regno Unito, 17 dalla Spagna, 15 dalla Francia e 8 dalla Germania. Nella fascia d’età 25-34 anni, grazie alla generale crescita dei livelli di istruzione nel paese, l’incidenza dei laureati è nettamente più elevata, 24,2%, ma la distanza dalla media europea (37,3%) è ancora più marcata. In questa fascia di età il ritardo è contenuto rispetto alla Germania (4 punti percentuali), ma ampio rispetto al Regno Unito (22 punti), Francia (21 punti) e Spagna (17 punti). Si registra tuttavia un aumento del numero dei laureati del nuovo ordna (Triennale-magistrale-ciclo unico dal dal 2010 al 2015 con un aumento da 269.123 a 296.669 unità, aumento imputabile soprattutto alle  triennali mentre le lauree magistrali e a ciclo unico sono rimaste pressohè costanti. ( 211.125-216.630)

In Lombardia i laureati dal 2011 al 2014 sono cresciuti solo dello 1,2% ( da 50112 a 54963) in Veneto da 20303 a 22 339 (0,3%) nel centro e nel mezzogiorno il n dei laureati è diminuito.”

 

  1. Abbandoni al 2103: 13,9 %

 

Disoccupazione a un anno lauree triennali: 34%

Magistrali 30%

Ciclo unico:  51%

  1. Aumento tasso disoccupati post-laurea (a un anno)

 

  2011 2014
Italia 7,93 12,65
Area Euro 10,99 11,61
Unione Europea 9,65 10,22
USA 8,35 6,16

 

laurea Disoccupati a 1 anno A 5 anni
triennale 34% nd
Magistrale

biennale

30% 14%
Mag. ciclo unico 51%* 13%

*Non tiene conto di percorsi formativi retribuiti

“Considerata la condizione occupazionale di laureati triennali, laureati magistrali biennali e laureati magistrali a ciclo unico si registra una ridotta variabilità del tasso di occupazione ad un anno dal titolo. Nello specifico, per i laureati triennali (che per il 54% proseguono gli studi con la laurea magistrale) si registra un tasso di occupazione pari al 66%, che sale a 70% per i laureati magistrali biennali e si attesta al 49% per i laureati magistrali a ciclo unico (ovvero i laureati in architettura, farmacia, giurisprudenza, medicina, veterinaria). Per questi ultimi i dati sono parzialmente alterati dalla partecipazione ad una formazione non retribuita e propedeutica all’avvio delle carriere lavorative professionali (ad esempio, praticantati, specializzazioni, tirocini). Tuttavia, se si considerano nel calcolo degli occupati anche coloro che sono impegnati in attività formative retribuite (definizione di “occupato” data dall’Istat nell’indagine sulle Forze di Lavoro), allora si ottiene un netto miglioramento delle performance occupazionali dei laureati a ciclo unico.”

 

“ I laureati  italiani presentano un tasso di occupazione di 16 punti percentuali in più rispetto ai connazionali in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore (57 contro 41%; Eurostat, 2015). Segnali positivi ci sono anche sul fronte del guadagno, che premia sempre i 25-34enni con  titoli di studio superiori (OECD, 2014): nel 2010 il premio retributivo di una laurea rispetto ad un diploma di scuola secondaria era pari a 25%. Si tratta tuttavia di un dato contenuto rispetto a quello rilevato per Francia, Germania e Regno Unito (rispettivamente +45% +49% e +53%) e spiegabile con il fatto che la realtà lavorativa italiana è caratterizzata da tempi più lunghi di inserimento e di valorizzazione professionale

  1. Efficacia laurea primo livello: diminuzione di 13 punti dal 2006

 

  1. Rapporto Investimento UR/PIL

Media OCSE  1,6

Italia : 0,9

In rapporto al prodotto interno lordo (PIL), la spesa in istruzione terziaria  è in Italia lo 0,9%; 0,60 punti percentuali al di sotto della media dei paesi OCSE e inferiore a quella di tutti i principali paesi. Lo scarto in termini percentuali è del 40%, maggiore dello scarto stimato per la spesa per studente. Tra il 2008 e il 2012 l’incidenza sul prodotto si è ulteriormente ridotta in misura superiore alla media dei paesi OCS

7.Spese del sistema universitario italiano

“Le uscite tratte dai bilanci riclassificati sono state aggregate nelle seguenti macrovoci: P. Spese per il personale(amministrativo e docente), F: Spese per il funzionamento, S Interventi a favore degli studenti(borse di studio e altri interventi), On Oneri finanziari e tributari, AS Altre spese correnti, ABD Spese per l’acquisizione e la valorizzazione di beni durevoli, EM Estinzione mutui e prestitie T Trasferimenti.”

 

  P F S On AS ABD EMP T Totale
2010 8449,6 1597,4 1284,0 175,6 207,9 794,4 138,3 223,3 12.073
2104 7420,9 1580,1 1270.9 173,2 131,6 802,8 248,6 297,9 11.916

 

La tabella conferma il fallimento della  riforma Gelmini, come ampiamente previsto e illustrato nel saggio di Giuseppe R.Brera  “Istituzione del Federalismo scientifico e universitario (2010)

 

“Nel 2012 la spesa per studente in Italia è stata di 10.070,68 dollari in termini di parità di potere d’acquisto (PPA), il 33% in meno rispetto alla media dei paesi OCSE, circa il 35% in meno di paesi come Francia, Belgio, quasi il 50% in meno dei paesi del Nord Europa e circa il 60% in meno del Regno Unito e degli Stati Uniti.

Rispetto alle fonti di finanziamento, in Italia, la quota di spesa a carico del settore pubblico è scesa a livelli inferiori alla media dei paesi OCSE. Muovendo da valori superiori all’80% a metà degli anni novanta, la quota coperta dal finanziamento pubblico è progressivamente diminuita al 66,0% del totale nel 2012, contro valori medi del 69,7% per i paesi OCSE e del 78% per i paesi dell’Unione europea. Tale trend decrescente, comune a molti paesi, è stato in Italia particolarmente marcato, determinando, una progressiva divergenza rispetto a paesi dell’Europa continentale come Francia e Germania (figura I.2.1.4). Specularmente, con il 26,5%, la quota della spesa sostenuta direttamente dalle famiglie per gli studi universitari è in Italia la più alta tra i paesi dell’Unione Europea qui analizzati dopo il Portogallo

  1. Diminuzione entrate totali per studente per ripartizione geografica 2008-2014
Entrate
NO -10,2
NE -5,1
C -4,3
Sud e isole +0, 3

 

“ 2014 per effetto congiunto del calo dei finanziamenti, della revisione dei meccanismi di assegnazione e della dinamica degli iscritti, lo scarto dalla media si è ridotto per gli atenei del Mezzogiorno, si è ampliato per il Centro. Gli atenei del Nord, da un ammontare di poco superiore alla media sono scesi a valori al di sotto della media nazionale”

 

L’introduzione del finanziamento perequitativo su gettito fiscale del territorio penalizza ulteriormente il Nord . Le università Lombarde sono a quota zero.  In Lombardia i laureati dal 2011 al 2014 sono cresciuti solo dello 1,2% ( da 50.112 a 54.963) in Veneto da 20.303 a 22 .339 (0,3%) nel centro e nel mezzogiorno il n°dei laureati è diminuito.

 

  1. Diminuzione spese per studente regolare e docente Nord Ovest-Nord Est e Italia 2008-2014 dati in %

             Studenti

  Studente    Docente
NO -16,9 +3,9
NE -6,5 +12,7
CENTRO -7,4 +1,5
SUD -1,2 +2,8
ISOLE +11 +7,4

 

I dati confermano che il sistema non investe sugli studenti, che pur ha visto aumentare le entrate contributive alle Università  da parte degli studenti che non vedono un ritorno. Alla diminuzione di docenti invece corrisponde un aumento delle spese. Si nota la sperequazione Nord/Sud e Isole nelle spese per studente.

 

  1. Riduzione investimenti per diritto allo studio in Italia : 2009-2015: -21 %

 

  2007 2014
NO 84.594.858 71.637.207
NE 80.473.884 103.887.121

 

Sebbene gli studenti abbiano determinato un aumento delle entrate contributive (tasse) alle Università, queste non sono ritornate a loro. Le spese di funzionamento delle Università italiane (1580,1) e le spese di acquisizione dei beni durevoli (802,8) sono superiori al diritto allo studio !

Appare comunque  in materia una differenza netta tra Lombardia e Veneto.

 

  1. Diminuzione ricercatori di ruolo

 

2000       19.692

2015       17.444

 

Il meccanismo istituzionale statale per abilitazione già alla legge di riforma Zecchino del 2000 impedisce l’entrata diretta nelle Università dei ricercatori. Lo stato vive sullo sfruttamento degli assegnisti ,anche per ruoli didattici .La CRUI e il CUN sono stati sempre conniventi. I docenti, dipendenti statali, senza di fatto alcun merito incentivante, condividono una situazione di comodo. a stipendio sicuro anche se non aggiornati o psicopatici. In Medicina ad esempio non c‘è un docente statale formato all’insegnamento della clinica e l’unico dipartimento per la formazione del medico esistente in Italia dal 2005 è dell’Università Ambrosiana-libera Università di Milano.

Nel nostro paese i riceratori sono due volte meno di Francia e Inghilterra, quattro volte meno della Germania, 9 volte meno del Giappone, 13 Volte meno degli USA.

12.Fuga dei talenti 

Nel 2015 sono fuggiti all’estero 27.000 diplomati e 24.000 laureati contro i 3000 del 1990. Come ha messo in luce Benedetto Coccia nella ricerca “Le migrazioni qualificate in Italia”[4] questo è dovuto all’alto tasso di disoccupazione, alla mancata occupazione nei ruoli coerenti.

La drammatica situazione riflette in generale la politica universitaria demenziale su Università e ricerca che risale al Governo Prodi (Legge Prodi-Bassanini 1988) e che ha trovato purtroppo sponda in ministri dell’Università e Ricerca, non adeguati , e da una istituzione inutile, sterile , parassitaria e fuori legge (MIUR).

La situazione universitaria italiana riflette una politica stolta e ignorante a sfavore dei giovani e dello sviluppo, cristallizzata dai governi Monti-Letta- Renzi-Gentiloni,cha fanno della cultura, motore di uno sviluppo che deve nascere prima di tutto dalla qualità delle persone, il fanalino di coda, non la luce principe.

Il fallimento si commenta dai dati ed è il risultato della sommatoria di leggi scellerate, (Prodi-Bassanini Berlinguer ,-1998, Zecchino 2000,  Gelmini  2010)  che hanno avuto un solo scopo: il costituire un sistema parassitario , statalista centrato sulle istituzioni e non sulle istituzioni  a danno degli studenti-condannati a migliaia all’esilio scientifico- e dei ricercatori e dei docenti non parassiti.

E’necessario una legge quadro che cambi radicalmente il sistema centrandolo sul merito e la responsabilità della persona, non dell’istituzione e dia potere agli studenti costituendo un vero diritto allo studio, come appare dal disegno di legge del prof.Brera.

[1] Giuseppe R. Brera  Il Federalismo universitario e scientifico. Ed. Università Ambrosiana 2010

[2] Dati tratti da ANVUR- Rapporto integrale sullo stato del sistema Università e ricerca 2016

[3] Giuseppe R.Brera  Analisi dei dati ANVUR- Rapporto integrale sullo stato del sistema Università e ricerca 2016.-2017

[3] Benedetto Coccia  Le istituzioni qualificate in Italia, Ed Istituto di studi politici S.Pio V ,2016

 

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